L’idea di regalare qualcosa di speciale ai miei studenti e al nostro territorio, grazie ad una clinic e uno show di “Tuck and Patti”, ha segnato l’inizio di una meravigliosa esperienza che, anche quando materialmente finirà, avrà séguito per tutta la vita grazie agli indimenticabili ricordi e preziosi insegnamenti che gli stessi mi hanno lasciato.
Saltando il duro lavoro organizzativo, mi piace partire dalla telefonata ricevuta il giorno del loro arrivo a Pordenone: “Hi, Francesco… I’m Tuck Andress of Tuck and Patti (da qui traduco) siamo arrivati! Ti va di cenare assieme?”. Ricordo con particolare emozione il primo incontro all’Hotel, dove guardavo con impazienza le scale che portavano alle camere in attesa di vedere dal vivo i miei idoli… qualche minuto ed eccoli apparire: lui in abiti casual e lei elegantissima come sempre. Mi hanno subito messo a mio agio accettando di visitare la scuola e apprezzando il semplice panorama di una chiesetta caratteristica della nostra piccola Pordenone (N.d.R. ancora oggi Patti ricorda quel luogo anche per esserselo sognato).
Abbiamo trascorso una serata indimenticabile, sorseggiando del prosecco e chiacchierando un po’ di tutto come dei vecchi amici che non si vedono da tanto, per poi andare a letto presto visti gli impegni dei giorni a seguire (una clinic e uno show).
L’occasione di vedere Tuck Andress nella veste di maestro suscitava già nei giorni precedenti alla clinic una curiosità e un’impazienza indescrivibili; il suo arrivo in sala è contornato da un’atmosfera strana, quasi surreale (come se un marziano fosse sbarcato a Pordenone)… un breve sound-check affidato alle orecchie di Patti e via senza scaldarsi con “I Wish”, così, per rompere il ghiaccio. Tuck, infatti, decide di esordire con uno dei cavalli di battaglia del suo virtuosismo, che gli da l’occasione di mostrare tutte le difficoltà che ha incontrato come chitarrista polifonico (e che sta incontrando… a detta sua… perché non sembra proprio), mostrando ogni passaggio necessario per impadronirsi completamente di un brano per poterlo poi trattare con libertà: fra i tanti suggerimenti sottolinea l’importanza di suonare la melodia nei diversi registri, esplorando ogni possibilità che lo strumento mette a disposizione; stessa cosa per la linea dei bassi e il comping, fino a trovare la soluzione ideale per mettere tutto assieme. I suoi sono sempre suggerimenti che lasciano libertà di personalizzare e adattare a se stessi quanto illustrato.
La sua lezione prosegue per più di due ore affrontando sia le tematiche inerenti ai brani solo per chitarra, sia quelle del chitarrista accompagnatore che deve risolvere anche i problemi tecnici e i limiti che lo strumento presenta.
Nel corso dell’esposizione suona tantissimo, e si concede anche a esperimenti nati al momento; è un chitarrista completo: dall’utilizzo del plettro all’imitazione di esso con le dita che pizzicano le corde nei modi più diversi e comunque coi soli polpastrelli (senza unghie lunghe nella mano destra), fino agli armonici artificiali, al backbeat e tutte le percussioni possibili, anche le più nascoste.
Il pomeriggio volge al termine, ma non senza regalare un bis: “Up and at it” di Wes Montgomery, che lascia di nuovo tutti a bocca aperta assieme alla comune consapevolezza dei chitarristi in sala di dover decidere se cambiare mestiere o correre a casa a studiare.
Il concerto del giorno successivo (sold-out due settimane prima) è la dimensione migliore per cogliere tutto il potenziale del duo, che esordisce con “Learning how to fly”. Il suono è perfetto (già vederli lavorare durante il sound-check è stata l’ennesima prova della completezza e compensazione dei due artisti che mescolano perfettamente il loro equipaggiamento con il service a disposizione), sembra un disco in cui la scaletta è scelta al momento, con un semplice sguardo o respiro d’intesa. Patti travolge il pubblico con la sua prorompente carica emotiva, la strabiliante simpatia ed i fraseggi meravigliosi; Tuck attrae tutti sulle sue mani impegnate in imprese funamboliche che non fanno rimpiangere un’orchestra, che sembra materializzarsi soprattutto nella parte in cui Patti lascia il palco per due capolavori dell’arrangiamento chitarristico: “Man in The Mirror” ed “Europa”, che provoca l’ovazione generale e lo sconforto dei molti chitarristi in sala. Con il ritorno di Patti il concerto volge al termine con l’immancabile e contagiosa “Time after time”, e non ricordiamo quanti bis.
Dopo una breve pausa i due artisti si sono concessi pazientemente a tutti i fan per foto, autografi e racconti.
Parlare di ogni rocambolesco e simpatico passaggio con cui è iniziata la mia collaborazione discografica con il duo statunitense porterebbe via troppo tempo (magari un giorno scriverò un libro). Cercherò comunque di condividere alcuni momenti indimenticabili che stanno contribuendo alla mia crescita professionale e umana grazie a quello che è stato il mio incontro musicale più fortunato e inaspettato, che da un giorno all’altro mi ha visto dedicare tutto il tempo disponibile al primo album con Tuck e Patti e ad organizzare un viaggio nella meravigliosa west coast californiana con i Just Duet.
Una volta decisa la data dell’ arrivo, Tuck and Patti avevano già tutto organizzato e si preoccupavano “solo” di sapere quali erano i nostri cibi e bevande preferiti e di spedirci dei video (fatti da loro) per farci scegliere le camere che preferivamo nel vicino Cottage Inn.
Tra mille preparativi e test di registrazione, finalmente arriva il momento del lungo ma appassionante volo, il check-out americano con Tuck Andress ad attenderci fuori dal gate e Patti nell’insolito ma simpaticissimo ruolo di autista… un primo caffè per vincere il jet-lag e subito a casa loro dove ho rovesciato una cheesecake per l’emozione.
Non ci era mai successo prima di stare in casa di persone famose… nei nostri sogni, ogni volta che si entra in contatto con personaggi di fama mondiale, ci si aspetta sempre di vedere cose assurde, di vivere in un mondo parallelo dove niente è quotidianità, dove il tempo è fermo in un eterno presente di soddisfazione e rendita… non è così! Abbiamo scoperto invece che la vita è uguale per tutti e che c’è un impegno costante di fondo per raggiungere obiettivi sempre più alti. Il bello di Tuck e Patti è che a casa loro non ti senti un ospite, ma parte della loro vita e questo rende l’apprendimento di qualsiasi loro esperienza molto più rapido ed emozionale.
Le giornate assieme a loro sono volate, e ciò succede quando si sta bene. E’ stato come imparare in dieci giorni quello che impareresti in due anni (se sei fortunato): una full immersion nella musica e nella vita di due musicisti veri.
Il lavoro era organizzato in modo meticoloso e zelante e il motto costante era “orecchie fresche”: non si lavora quando si è stanchi, per queste cose serve il massimo dell’attenzione… mixare un disco non è una cosa da poco! (e così Patti si trasformava da perfetto produttore a cicerone per le strade di San Francisco, mentre Tuck rimaneva in studio, ma chiamava per accertarsi che ci stessimo divertendo).
Ci ha colpito vedere così tanta attenzione e costante impegno dedicati al nostro progetto da parte di due persone che hanno scritto e continuano a scrivere un capitolo della storia della musica… questa è l’unica cosa che si ricollega ai sogni di cui si parlava! Tuck e Patti non ci hanno mai imposto nulla, e con incredibile eleganza sapevano farci ragionare per prendere la decisione migliore.
Niente era lasciato al caso, ogni minima variazione di dB era messa al vaglio in modo che tutti fossimo d’accordo su ogni scelta adottata; abbiamo riascoltato porzioni di brani decine e decine di volte, perché è così che si crea qualcosa di serio e valido. Abbiamo valutato assieme e con scrupolosità quali effetti potessero far risaltare al meglio le qualità della nostra musica, grazie anche al loro studio che ne offre davvero un’ampia scelta. Tuck ci ha raccontato che, ogni tanto, ha approfittato del dormiveglia di Patti per proporle l’acquisto di materiale di altissima qualità e quindi molto costoso, ricevendo un sonnecchiante “ok”, al quale seguiva un immediato ordine online. Così, tra seri e ponderati investimenti e “benevoli inganni”, il parco macchine è cresciuto sempre più, fino a diventare un gioiello della tecnologia e un’attrazione per musicisti.
Tutta la strumentazione era a nostra disposizione, e quando rimasi inchiodato di fronte alla mitica Gibson L-5, Tuck me l’ha passata come si fa con un amico, dandogli la possibilità di suonare un pezzo di storia discografica, mentre Patti canticchiava melodie sublimi (tutte nate al momento) come coro alla voce di Laura.
Da questa incredibile esperienza sono nati anche dei brani inediti, e uno di questi s’intitola “Stop the time” (ferma il tempo e goditi questo momento), che magari inconsciamente è una metafora della nostra piccola ma allo stesso tempo grande storia.
Mi sento di dire che Tuck e Patti sono come una seconda famiglia, che unisce nello stesso tempo i ruoli di migliori amici, fratelli e (che non si offendano) genitori; infatti, quando si faceva tardi la notte, Patti ci strigliava simpaticamente dicendoci “Bambini! E’ ora di andare a nanna” e noi non capivamo… forse perché sembrava già di esser fra le braccia di Morfeo: tutto era già un sogno.
Francesco Tizianel
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